Il problema del modello Pay or OK
Perché il consenso condizionato è una falsa scelta e viola i principi del GDPR
Perché “Pay or OK” mette a rischio il consenso libero
Immagina di entrare in un sito web o un’app e trovarti di fronte a un messaggio del tipo: “Accetta i cookie e la pubblicità personalizzata, oppure paga un abbonamento per continuare”. Questa è la logica del modello “Pay or OK”, conosciuto anche come “Consent or Pay”. In pratica l’utente viene messo davanti a una scelta crudele: o cedere i propri dati personali per la profilazione pubblicitaria, o pagare in denaro per preservare la propria privacy.
Questo modello è già comparso su diverse piattaforme e siti in Europa – dai social network come Facebook e Instagram ai siti di notizie come Le Monde, El País, La Repubblica o Der Spiegel. A prima vista potrebbe sembrare una scelta in più per l’utente, ma in realtà è una scelta solo apparente. La maggior parte delle persone, di fronte all’alternativa tra pagare soldi o “dare l’OK” ai propri dati, finirà per acconsentire al tracciamento pur di non pagare. Le statistiche lo confermano: in alcuni casi oltre il 99% degli utenti “accetta” i cookie traccianti quando l’alternativa è pagare. E questo non perché tutti siano felici di essere profilati – anzi, sondaggi indicano che solo un 3-10% degli utenti desidera davvero la pubblicità personalizzata – ma di fronte a quella scelta, quasi nessuno è disposto a sborsare denaro per accedere ad un articolo, dando un consenso che libero non è.
Dal punto di vista dei diritti digitali, il modello “Pay or OK” è problematico per vari motivi. In primis, mina il principio del consenso libero e volontario previsto dal GDPR: se per usare un servizio devi acconsentire ai dati o pagare, il tuo consenso non è affatto “libero” ma condizionato. Inoltre crea una pericolosa disparità: la privacy diventa un lusso per chi può permettersi di pagare, mentre tutti gli altri devono rinunciare ai propri diritti per mancanza di alternativa. In sintesi, “Pay or OK” trasforma il consenso in un ricatto: la stragrande maggioranza degli utenti cede ai tracker non perché lo vuole davvero, ma perché non può permettersi (o non ritiene giusto) pagare un “pizzo” sulla propria privacy.
Fonti, casi e pareri istituzionali
L’opinione dell’EDPB (maggio 2024)
Nel maggio 2024 l’European Data Protection Board (EDPB) ha chiarito che il modello “Pay or OK” non garantisce un consenso valido ai sensi del GDPR. L’alternativa a pagamento, se unica opzione per evitare il tracciamento, non è sufficiente a rendere il consenso libero e informato. L’EDPB raccomanda che le piattaforme offrano una terza via, gratuita e senza pubblicità personalizzata.
I reclami di NOYB contro Meta e altri
- Reclamo contro Meta: denuncia il costo eccessivo dell’alternativa a pagamento e l’impossibilità pratica per gli utenti di scegliere liberamente.
- Contenzioso sul caso Der Spiegel: critica l’autorità tedesca per aver accettato il modello senza garanzie sufficienti per la libertà del consenso.
Casi nazionali
- Francia (CNIL): ammette cookie wall solo se il prezzo è ragionevole e l’alternativa è realmente equivalente.
- Spagna (AEPD): posizione simile a quella francese, ma richiede che l’utente sia adeguatamente informato.
- Belgio (APD): vieta i cookie wall, il consenso non è valido se condizionato.
- Germania (DPA Amburgo): ha approvato il caso Der Spiegel, ma la decisione è stata contestata.
Il modello “Pay or OK” rappresenta una sfida per i diritti digitali e l’equità: trattare la privacy come merce da comprare o cedere mette a rischio l’intero sistema del consenso previsto dal GDPR.
Data broker: i profili nascosti che violano i tuoi diritti
I dati che cediamo cliccando “accetta” non restano solo al sito che visitiamo. Spesso finiscono nelle mani di data broker, aziende specializzate nella raccolta, aggregazione e rivendita di dati personali e comportamentali. Sono l’anello meno visibile della pubblicità online, ma quello più attivo nel costruire profili dettagliati delle persone.
Nel quadro del GDPR, i data broker dovrebbero:
- fornirti accesso a tutti i dati che hanno su di te
- indicarti da dove li hanno ottenuti e con chi li condividono
- permetterti di cancellare o correggere le informazioni
- rispettare il tuo diritto di opporti al trattamento o revocare il consenso
- spiegarti in modo trasparente come e perché trattano i tuoi dati
Ma tutto questo, nella pratica, non accade quasi mai.
Molti broker ignorano del tutto le richieste degli interessati, o rispondono in modo parziale, generico o incomprensibile. Alcuni non offrono nemmeno canali accessibili per contattarli. E nel frattempo, il numero di “partner pubblicitari” che i siti dichiarano nei cookie banner continua a crescere: centinaia di soggetti, inseriti perché profittevoli per l’editore, non perché rispettino la legge.
Il risultato? I tuoi dati circolano in modo incontrollato, mentre i diritti garantiti dal GDPR restano sulla carta.